Il Giornale dell’Umbria, 31 agosto 2011
di Stefano Ragni

IL PIANISTA RIVA E IL SUO LISZT

Il Liszt più italiano, che dialoga con Michelangelo, Petrarca, con Dante, con Verdi e pure con un santo rustico come Francesco di Paola. Lo suona nel teatrino di palazzo della Corgna un virtuoso della tastiera, Adalberto Maria Riva Mai come in questa serata il pianista milanese, più volte ospite del Festival di Musica Classica di Castiglione del Lago, giunto alla settima edizione, ha saputo fidelizzare i suoi ascoltatori intorno a un percorso avvincente che coinvolge lo scintillio della tastiera con le motivazioni di una cultura letteraria, paesaggistica, artistica e umana amata e condivisa. Raramente nella storia del nostro paese si è dato un musicista che più di Liszt abbia amato ogni aspetto della nostra civiltý , realizzando un grande polittico sonoro i cui pannelli sono altrettante pagine di diario, appunti memorialistici, visioni e meditazioni su quanto il grande musicista magiaro vedeva e assaporava.

Iniziare un concerto con “A la chapelle sixtine” come ha fatto Riva è cosa più che rara: il pezzo, oltretutto, è assai tetro e necessita di una spiegazione. Si tratta di una sorta di incubo notturno a cui viene sottoposto il visitatore del grande affresco michelangiolesco del Giudizio Universale. Liszt, oltre che evocare una baraonda di spiriti infernali, cita il Miserere di Allegri e l’Ave Verum di Mozart, sottoponendoli quasi a una lotta tra il cristianesimo della colpa e quello della redenzione, con la relativa vittoria del bene. Toni celestiali della tastiera di Riva che presto si convertono nelle atmosfere lugubri dell’inferno con il lungo e complesso “Après une lecture de Dante”. Con questi terribili venti minuti Liszt è riuscito nella incredibile impresa di musicare la poesia dantesca senza neanche cantare un verso: anzi, quando dall’uragano del canto V emerge la tenera e disfatta voce di Francesca da Rimini il pianoforte realizza une delle più incredibili sinestesia fra tatto, udito, letteratura e memoria evocativa creando uno dei momenti più belli del Romanticismo. Impeccabile nel suo dominio della tastiera Riva, che sembra inossidabile alla fatica, si immerge nei Tre Sonetti del Petrarca, una delle prime realizzazioni del contagio italiano a cui Madame D’Agoult, la celebre amante di Liszt, aveva sottoposto il suo Ganimede. Emergendo dai languori petrarcheschi Riva affronta ora le tempeste sullo stretto di Messina su cui San Francesco di Paola fluttua stendendo il suo mantello: è un’immagine possente di uragano domato solo dalla fede di un santo e Liszt, oltre che ricorrere all’abituale armamentario delle tempeste sonore, utilizza brandelli di canto gregoriano ben scolpiti dalla implacabile mano di Riva. Che, non contento di tanto sconquasso, chiude il suo formidabile recital col quartetto del Rigoletto con cui Liszt realizza la celebre parafrasi verdiana.

Dopo che lo hanno intonato anche i protagonisti di “Amici miei” lo spirito graffiante di questo capolavoro della metamorfosi dal canto alla tastiera acquista un sapore ancora più convincente e coinvolgente. Lo dimostra l’uragano di applausi con cui viene festeggiato Riva che si congeda dal pubblico con un sommesso mormorio: l’Ave Maria di Schubert coma l’ha voluta suonare Liszt.

 
© 2011 Adalberto Maria Riva